La medicina palliativa

Le cure palliative non sono un palliativo! Sono il prendersi cura della persona, con scienza e umanità insieme. Quando la terapia non è più efficace, bisogna riflettere: meglio aggiungere giorni alla vita o vita ai giorni che rimangono? L’équipe che segue i malati in cure palliative è formata da medici, infermieri, operatori socio-sanitari, fisioterapisti, psicologi, assistenti sociali e volontari. Il loro lavoro permette di unire scienza e umanità, perché quando una persona giunge in questa fase della vita il suo non è soltanto un puro dolore fisico, che oggi è possibile controllare con i farmaci, ma un dolore totale che coinvolge il malato, i parenti, le persone care; e va affrontato in tutta la sua complessità.

Il medico di famiglia ha difficoltà a gestire questo tipo di malati e tende a ricoverarli in ospedale. Ma lavorare con la terminalità in ospedale è desolante: scarsa privacy, orari rigidi, limite al numero di visitatori, operatori indaffarati, nessun supporto psicologico, procedure invasive fino alla fine. Le cure palliative abbandonano la superspecializzazione che contraddistingue la medicina moderna. In Hospice si considera la persona nel suo insieme, non come un organo o un apparato da curare. I nostri pazienti chiedono che qualcuno si prenda carico sia delle loro sofferenze fisiche che di quelle spirituali.

In Italia abbiamo la legge 38 del 2010, una legge che gli altri Stati ci invidiano e che detta le basi per la realizzazione di una valida rete territoriale di cure palliative.

Fino ad oggi l’assenza di una formazione specifica in cure palliative ha contribuito alla scarsa informazione dei cittadini su quello che è un loro diritto. Dal prossimo anno accademico, anche in Italia ci sarà l’insegnamento universitario di cure palliative e siamo tutti fiduciosi che la cultura del sollievo migliorerà su tutto il territorio nazionale.

Perché l’Hospice è, per molti, ancora un tabù, un luogo dove si va a morire!

Un recente lavoro, pubblicato su New England Journal of Medicine, ci ricorda che i pazienti che ricevono cure palliative subiscono cure meno aggressive e hanno un più lungo periodo di sopravvivenza. Inoltre, il costo medio della degenza in Hospice è del 30% inferiore rispetto ad un ospedale; non è cosa da poco! Investendo in questo ambito si liberano risorse notevoli da investire nelle attività ospedaliere.

In Hospice si realizza un percorso comunicativo con i pazienti in fine vita. Nella prima fase il malato non è informato esattamente delle sue condizioni, ma con il tempo emerge la verità; il malato sente che si può fidare del personale e si avvia un rapporto anche inconscio, anche inespresso, ma fondamentale. Noi diventiamo le persone che devono gestire il suo dolore, la sua angoscia, che emerge soprattutto di notte, e controllare la disperazione dei familiari.

Quale il confine tra cure palliative e eutanasia? Con la Legge sul Testamento Biologico, la maggioranza delle persone si esprime contro l’accanimento terapeutico e la mia impressione è che ormai sia la società a chiedere meno interventismo. Ovviamente ogni caso è singolo e irripetibile e il confine tra desistenza, cure palliative, eutanasia è uno spazio molto largo di idee e di pratiche. L’eutanasia? Io ed il mio gruppo non abbiamo nulla a che fare con l’eutanasia. Noi lavoriamo per la vita: per dare dignità, senso e valore alla vita che rimane.

Paolo Cesaro

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